Con la Proposta di legge n. 1195 “Modifiche al codice penale, al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, e al decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, in materia di riciclaggio, autoriciclaggio e detenzione di attività finanziarie all’estero“, presentata il 12 giugno 2013, intendiamo introdurre una normativa che punisca il cosiddetto «autoriciclaggio», cioè il reimpiego e la reimmissione sul mercato di risorse provenienti da reato da parte di chi lo ha commesso.
La sanzione penale di tale condotta è infatti assente nell’ordinamento italiano e contrasterebbe, invece, uno dei principali canali di occultamento dei proventi delittuosi, in particolare del crimine organizzato, dei reati economici e di corruzione.
La previsione di una fattispecie autonoma di reato – a valle della corruzione e del falso in bilancio – costituirebbe un valido ostacolo alla concretizzazione ultima del vantaggio patrimoniale conseguito con l’attività illecita. Falso in bilancio e riciclaggio o autoriciclaggio costituiscono, infatti, gli elementi di congiunzione e di tracciabilità del rapporto corruttivo laddove il primo crea la risorse e il secondo ne disperde le tracce.
L’intervento legislativo che si propone vuole creare un filo logico normativo di rilevanza penale tra diversi reati societari, dalle «false comunicazioni sociali» ai sistemi di il riciclaggio e ai «self-laundering» (autoripulitura), tenuto conto, a maggior ragione, che l’attuale formulazione degli articoli 648-bis (riciclaggio) e 648-ter (impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) del codice penale, escludendo i casi di concorso nel reato, non lasciano spazio a un’incriminazione dell’auto-riciclaggio.