Nel 1927 è stata istituita la Compagnia italiana turismo (CIT), i cui soci fondatori erano le Ferrovie dello Stato, il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia e l’Ente nazionale per le industrie turistiche (ENIT), con lo scopo di promuovere l’Italia come destinazione del turismo internazionale.

Nel 1998, in seguito alla privatizzazione dell’azienda, l’imprenditore Gianvittorio Gandolfi ha acquistato la CIT dalle Ferrovie dello Stato.

Dal 1998 al 2002 il gruppo CIT ha operato investimenti per i quali ha ottenuto ingenti finanziamenti da parte dello Stato. Nonostante il consistente flusso di contributi pubblici, dal 2003 al 2005 la società si è indebitata raggiungendo un passivo di 340 milioni di euro.

Nel marzo 2006 il debito ha superato i 600 milioni così che il tribunale fallimentare di Milano ha dichiarato lo stato d’insolvenza della CIT e l’ha ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria. Successivamente, il Ministero dello sviluppo economico si è opposto allo stato passivo della CIT depositato presso il tribunale di Milano, nella speranza di ottenere il riconoscimento del privilegio per un credito di oltre 10 milioni di euro.

Nel 2011 il tribunale di Milano ha rigettato l’opposizione. L’Avvocatura dello Stato ha impugnato tale decisione presentando un ricorso alla Corte di cassazione per conto del Ministero. Tale ricorso è stato dichiarato inammissibile, dal momento che la legge fallimentare, in casi del genere, prevede l’appello in secondo grado e non il ricorso diretto alla Corte di cassazione.

Il grossolano errore di procedura ha fatto sì che al Ministero dello sviluppo economico non solo fosse definitivamente negata la possibilità di vedere soddisfatto il suo credito di ben dieci milioni di euro, ma anche che gli fossero addebitate le spese processuali per un importo di 15 mila euro.

Con l ‘interrogazione parlamentare n. 5-01200 dell’11 ottobre 2013 (leggi il testo) abbiamo allora chiesto al Governo se sia a conoscenza dell’errore procedurale commesso dall’Avvocatura dello Stato e se sia nelle sue intenzioni adoperarsi perché siano accertate le responsabilità di tale errore e sia sanzionata la condotta colposa che ha compromesso il recupero di una somma ingente – oltre 10 milioni di euro – di denaro pubblico.